Cutrofiano – 51^ edizione Mostra della Ceramica Artigianale

Da giovedì 10 a sabato 19 agosto, saranno 10 giorni di festa diffusa dell’arte figula nel Salento, nel nome dell’artigianato ma anche di arte, cultura, tradizione, musica e gastronomia

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Cutrofiano “Città della Ceramica” si prepara ad ospitare la 51esima Mostra della Ceramica Artigianale, organizzata dal Comune di Cutrofiano, in collaborazione con PugliArmonica. Da giovedì 10 sabato 19 agosto, saranno 10 giorni di festa diffusa dell’arte figula nel Salento, nel nome dell’artigianato ma anche di arte, cultura, tradizione, musica e gastronomia. È un appuntamento tradizionalmente dedicato alla promozione e valorizzazione dell’arte della lavorazione della ceramica di cui il piccolo centro salentino è uno dei simboli in Italia, per l’intensa attività artigianale di qualità di produzione di oggetti vari.

Lo stesso nome “Cutrofiano” ci dà testimonianza del legame con le lavorazioni in terracotta: kutra in greco vuol dire, appunto, vaso.

Alla 51esima Mostra della Ceramica Artigianale tutte le sere dalle ore 19 a mezzanotte il centro storico di Cutrofiano vivrà di eventi, mostre, laboratori e concerti, ospitati non solo nelle piazze ma anche in luoghi preziosi come il Museo della Ceramica, in apertura straordinaria durante i giorni dell’evento, e le Scuderie Palazzo Ducale, che accoglieranno, tra l’altro, Terracotta parlante, mostra (a cura di cijaru) degli artisti Stefano Boccalini, Luca Coclite, Vito De Donatis e Giuseppe De Mattia. Tre di loro (Boccalini, Coclite e De Mattia) sono stati invitati ad un periodo di residenza a Cutrofiano dove hanno avuto modo non solo di conoscere il patrimonio materiale del Museo della Ceramica ma anche di lavorare a due mani con il mastro ceramista e artista cutrofianese Giuseppe Colì. I lavori esposti sono il risultato di queste interazioni e scambi, elaborati dopo mesi di produzione in loco, di studio del territorio e della sua produzione ceramica tradizionale. A questi si integra il lavoro di De Donatis, artista e artigiano locale che nella sua bottega, luogo di socializzazione della comunità cutrofianese, forgiava il suo immaginario superando la figurazione tradizionale nelle sue serie “esasperate” di abbracci e figure umane con uccelli.

In piazza Municipio invece sarà di scena l’installazione I due mari (2020) di Maria D. Rapicavoli, artista catanese, ormai residente e operativa a New York. È composta da ventotto vasi in terracotta smaltati all’interno con diverse tonalità dell’azzurro e del verde che ricordano le colorazioni marine delle coste del sud Salento. Sono disposti in modo disomogeneo e corale e riempiti d’acqua di mare. All’ambiente immersivo si alternano faretti che illuminano ciascun elemento facendone risultare l’unicità della forma e del colore. I vasi sono stati originariamente concepiti e realizzati per la mostra personale di Maria D. Rapicavoli “Make This Earth Home” e presentati per la prima volta negli spazi di Torre Matta a Otranto (Le).

Durante l’evento, tutte le sere si cena in piazza Cavallotti con stand tradizionali di prodotti tipici locali, poi musica, spettacolo, intrattenimento, con ospiti ed artisti sempre differenti (Nitrophoska, Stamustreet, Zagor Streetband, Sonamò, Fimmine Fimmine!, Skarlat, Zimba ca te passa, Jazzabanna, Giovanni Muciacia, Io, te e Puccia), fino alla chiusura, il 19 agosto, con una delle tappe del Festival La Notte della Taranta in piazza Municipio, conLe Malmaritate e Antonio Amato Ensemble.  

Inaugurazione prevista giovedì 10 agosto alle 19.30 in piazza Municipio, con gli Sbandieratori di Oria, la Banda di Taviano e il via a tutte le iniziative in programma. Al taglio del nastro il Sen. Roberto Marti, presidente della commissione Cultura del Senato, con la partecipazione di Donato Metallo, presidente della Commissione Cultura della Regione Puglia, Stefano Minerva, presidente della Provincia di Lecce,Luigi Melissano, sindaco di Cutrofiano, Alessandra Blanco, assessore alle Attività produttive del Comune di Cutrofiano, e Graziano Cennamo, presidente di PugliArmonica.

PROGRAMMA

10 AGOSTO

ore 19.30 – Piazza Municipio

Inaugurazione della cinquantunesima edizione

Sbandieratori di Oria e Banda di Taviano

Ore 21.30 – Piazza Municipio

Omaggio a Ennio Morricone a cura della Banda di Taviano

11 AGOSTO

ore 21.00 – Piazza Cavallotti

NITROPHOSKA in concerto

12 AGOSTO

ore 21.00 – Piazza Cavallotti

STAMUSTREET e ZAGOR STRRETBAND.

13 AGOSTO

ore 21.00 – Piazza Cavallotti

SONAMO’

14 AGOSTO

ore 21.00 – Piazza Cavallotti

FIMMINE FIMMINE!

Danza e musica popolare con Serena D’Amato, Daniela Damiani, Valentina Cariulo, Michela Sicuro

15 AGOSTO

ore 21.00 – Piazza Cavallotti

SKARLAT

16 AGOSTO

ore 21.00 – Piazza Municipio

FESTA DI SAN ROCCO – omaggio ai Cantautori italiani

Ore 22.30 – Piazza Cavallotti

ZIMBA CA TE PASSA

17 AGOSTO

ore 21.00 – Piazza Cavallotti

Pizzica con i JAZZABANNA in concerto.

18 AGOSTO

ore 21.00 – Piazza Cavallotti

Attacchi d’arte contemporanea di GIOVANNI MUCIACCIA

Ore 22.30 – Piazza Cavallotti

IO, TE E PUCCIA

19 AGOSTO

ORE 19:00 Piazza Municipio
MAGICA RONDA – Laboratorio di pizzica a cura del Corpo di Ballo Taranta e con le ragazze e i
ragazzi della coop. L’ADELFIA

ORE 20.30 Piazza Cavallotti
Taranta Talk MARIA FRANCESCA MARIANO Identità di genere tra legalità e cultura popolare
A seguire intervento di danza con CARMINE D’AMICO e JONATHAN ENEA COSTA

ORE 22:00 Piazza Municipio

LE MALMARITATE
ANTONIO AMATO ENSEMBLE

Ingresso libero.

Aggiornamenti sulla pagina FB Mostra della Ceramica Cutrofiano

Info alla mail ass.pugliarmonica@gmail.com

La 51esima Mostra della Ceramica Artigianale è realizzata dal Comune di Cutrofiano “Città della Ceramica” con il patrocinio di Regione Puglia, Provincia di Lecce – Salento d’Amare, Unione dei Comuni della Grecìa Salentina, in collaborazione con PugliArmonica.

Azzurra De Razza

Addetto stampa

3387755897 – azzurraderazza@gmail.com

Presentazione dell’installazione I due mari (2020) di Maria D. Rapicavoli

a cura di: cijaru

Piazza Municipio, Cutrofiano

dal 10 al 19-08/2023

Opening: 10-08; ore: 19:00

I due mari (2020), originariamente concepiti e realizzati per la mostra personale di Maria D. Rapicavoli “Make This Earth Home” e presentati per la prima volta negli spazi di Torre Matta a Otranto, è un’installazione composta da ventotto vasi in terracotta smaltati all’interno con diverse tonalità dell’azzurro e del verde che ricordano le colorazioni marine delle coste del sud Salento. Disposte in modo disomogeneo e corale e riempite d’acqua di mare, tali sculture sono immerse in una luce blu per favorire un’esperienza sensoriale nel visitatore. All’ambiente immersivo si alternano faretti che illuminano ciascun elemento facendone risultare l’unicità della forma e del colore. 

I due mari (2020) rimanda alla cultura materiale dal periodo arcaico al periodo ellenistico e tardoantico del Salento, riproducendo svariate ceramiche che, diverse per forma e dimensione, rievocano sia i diversi stili di ciascun periodo storico – dal periodo geometrico al periodo figurativo – sia le diverse funzioni che via via il vasellame andava assumendo: come uso domestico, come offerta cerimoniale in devozione alla Grande Madre Terra, propiziatoria alle deità sotterranee e/o marine e atmosferiche, come trasporto per alimenti (olio, vino, grano e cereali), come bene pregiato oggetto di scambi commerciali identificativi della gerarchia sociale, come strumento di irradiazione della cultura greca con la rappresentazione pittorica – figure nere e figure rosse a vernice nera, corinzie e attiche provenienti da fabbriche autoctone (Egnazia e Apani), siro-palestinese, microasiatica e sigillata – dei poemi omerici e, in generale, della teogonia narrata da Esiodo.

Nel comporre I due mari, MDR rimanda alle influenze culturali orientali sulla produzione dei ceramisti locali, dalla preistoria all’epoca romana, che oggi rappresenta nella forma e nella funzione specifica un vanto antico e attuale dei figuli salentini. I vasi prodotti dagli artigiani locali di terracotta diventano simboli astratti, riprendendo le forme ma non le figurazioni pittoriche che li contraddistinguono, delle stratificazioni culturali del passato salentino ancora testimoniate nel presente.

In questo modo, puntando i riflettori (ciascun vaso è illuminato da fari direzionali) sulla natura creola del sud Salento e di Otranto, l’artista stravolge il senso comune odierno delle identità nazionali e dei confini territoriali. Come una composizione corale, costituita da differenti elementi, unici ma disposti in modo collettivo, l’installazione ci conduce in un passato fatto di sovrapposizioni di razze, come testimoniato dai Messapi, protoabitatori autoctoni del Salento mescolati a Illiri, Epiri, Elleni, Fenici, Cretesi e alle genti di Rodi che attraversarono il Canale d’Otranto.

Maria D. Rapicavoli è nata a Catania, vive e lavora a New York.

La sua pratica artistica spazia dalla fotografia, al video alla scultura e alle installazioni site specific.

Nel 2012 ha partecipato al Whitney Independent Study Program a New York e nel 2005 ha conseguito un Master in Fine Arts presso la Goldsmiths University di Londra. Nel 2001 si è diplomata presso l’Accademia di Belle Arti di Catania.

Ha esposto il suo lavoro in numerose mostre in Italia e all’estero, tra cui: The High Line, New York; Socrates Sculpture Park, New York; Fondazione ICA, Milano; Westfaerischer Kunstverein, Muenster; UB Art Galleries, Buffalo, NY; The Shelley & Donald Rubin Foundation, New York;  Magazzino Italian Art,Cold Spring, NY; Whitechapel Gallery, Londra; Yerba Buena Center For The Arts, San Francisco; Parsons New School, New York;  Museo di Villa Croce, Genova; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; Smack Mellon, New York; Guest Projects, Londra; Palazzo Reale, Milano; Riso, Museo D’arte Contemporanea della Sicilia, Palermo; Strozzina- Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze; Sala Rekalde, Bilbao; Istituto Italiano di Cultura, Londra e New York.

Nel 2019 ha vinto il premio Italian Council VI edizione, il premio nctm e l’arte nel 2013 e il DE.MO. /Movin’Up nel 2011 in Italia. Nel 2004 ha vinto a Londra il Postgraduate award in Arts and Humanities, AHRB. 

Nel 2015 ha vinto la residenza AIRspace presso l’Abrons Arts Center di New York.

Nel 2014 ha partecipato al programma di residenze ISCP e nel 2013 al Lower Manhattan Cultural Council (LMCC) Residency Program sempre a New York.  Attualmente è Member Artist presso the Elizabeth Foundation for the Arts a Manhattan.

Maria D. Rapicavoli, I due mari (2022). 35 vasi di terracotta realizzati a mano smaltati e acqua marina; dimensioni variabili

courtesy: l’artista; foto: Raffaele Puce; produzione: cijaru

didascalia per questa e le immagini a seguire

MOSTRA “Terracotta parlante”

Stefano Boccalini, Luca Coclite, Vito De Donatis, Giuseppe De Mattia

a cura di: cijaru

Palazzo Ducale Filomarini, Cutrofiano

dal 10 al 19-08/2023

ore: 18:00/00:00

Opening: 10-08; ore: 19:00

“Terracotta parlante” è un modo per riflettere sull’uso materiale, ordinario e quotidiano della terracotta che ci viene dal passato ma che diviene, nella mostra, un espediente per elaborare sistemi di significato del presente. Partendo dall’idea che la produzione della ceramica sia sempre stata un fatto culturale che appartiene ad un certo modo di vivere e un fare sociale quello delle botteghe artigiane ma anche quello quotidiano e domestico, luoghi di relazioni sociali, la mostra vuole mettere in risalto la necessità di un continuum fra passato e presente senza il quale sarebbe impossibile resistere alle tentazioni del presente come le trasformazioni tecnologiche, sociali e economiche che annullerebbero i significati culturali di cui l’artigianato è portatore. Non per recuperare il passato e pensare ad un anacronismo che cesura e interrompe il presente ma per ripensarlo come modo attuale per decifrare e resistere ai modi e significati dominanti contemporanei. Ecco allora che l’artigianato locale è una risorsa per elaborare contenuti e simboli “emergenti” in grado di interpretare la complessità del vivere attuale e in alcuni casi sovvertire l’ordine dominante che annichilisce la cultura come anche cultura ordinaria.

Tre degli artisti presentati in mostra, Stefano BoccaliniLuca Coclite e Giuseppe De Mattia sono stati invitati ad un periodo di residenza a Cutrofiano dove hanno avuto modo non solo di conoscere il patrimonio materiale del Museo della Ceramica ma anche di lavorare a due mani con il mastro ceramista e artista Giuseppe Colì. I lavori esposti sono il risultato di queste interazioni e scambi, elaborati dopo mesi di produzione in loco, di studio del territorio e della sua produzione ceramica tradizionale. A questi si integra il lavoro di Vito De Donatis, artista e artigiano locale che nella sua bottega, luogo di socializzazione della comunità cutrofianese, forgiava il suo immaginario superando la figurazione tradizionale nelle sue serie “esasperate” di abbracci e figure umane con uccelli.

Stefano Boccalini recupera la tradizione delle piastrelle in ceramica salentine, “cementine” annullando però la loro carica decorativa, ingigantendole e usandole come dispositivi di linguaggio. Grandi piastrelle bianche poggiate a pavimento diventano parole che si fanno materia, domande semplici e condivisibili che hanno l’obiettivo di coltivare il dubbio nello spettatore e far riflettere sull’omologazione delle esistenze individuali contemporanee. Ecco allora che una volta usate privatamente in spazi domestici, le piastrelle divengono un fatto comune, un’installazione collettiva, dove passandoci attraverso condividiamo quesiti che ci accomunano e che, seppur basilari, sfuggono dal pensiero dominante che annulla il dubbio e la riflessione in favore del pensiero affermativo e avventato. Domande come “Sappiamo Sognare?”; “Sappiamo Guardare?”; “Sappiamo Ascoltare?”, affermano la volontà di Boccalini di “dare speso specifico e valore collettivo al linguaggio (…) che è luogo dove la diversità assume un ruolo fondamentale, diventando il mezzo con cui contrapporre al valore economico il valore del ‘comune’”. Come di solito accade nella pratica dell’artista il linguaggio come luogo del comune e della diversità si materializza attraverso il ripristino delle pratiche artigianali, anch’esse mezzi da contrapporre all’omologazione, anche per questa installazione l’uso della terracotta e della parola diviene la sintesi di un pensiero che oltrepassa il privato per farsi collettivo.

Il recupero della tradizione però non ha mai un connotato nostalgico ma diviene foriero per il forgiarsi di nuovi scenari immaginabili; ecco dunque che le “piastrelle” diventano un’installazione di bianco neutro che si contrappone ai motivi decorativi e colorati delle cementine; il formato si ingrandisce e la superficie diviene scolpita da parole, tentativi questi di immaginare un possibile futuro non costruibile senza una coscienza del passato.

Luca Coclite presenta Ceramiche popolari (2023) un’installazione costituita da tre orci, contenitori tradizionali dei cespiti: vino, olio e frumento che abbandonando la loro funzione diventano elementi simbolici ed estetici per esprimere le contraddizioni attuali sulla crisi olivicola. Piuttosto che addentrarsi nella mera rappresentazione necrofila sugli alberi di ulivo affetti da xylella o in modo opposto su un progetto salvifico della crisi attuale, Coclite, recuperando la tradizione dei vasi commemorativi, scompone in alfabetico estetico e semantico elementi del passato e del presente semplicemente per offrire indizi esistenti per la costruzione di una discorsività complessa. Ecco allora che recupera due scritte presenti sui muri delle strade salentine che inneggiano ad un passato agricolo “glorioso” per il sud e per il territorio salentino in particolare e le riporta su due dei tre orci. “Viva Colosso. Adolfo deputato” si legge su uno e “Decreti Gullo sull’altro”. La prima fa riferimento ad Adolfo Colosso (Ugento 1854-1915) imprenditore agrario, viticoltore e olivicoltore che apportò profonde trasformazioni e innovazioni in campo agricolo soprattutto nel settore della viticoltura. La seconda invece è dedicata al ministro dei contadini Fausto Gullo che a metà degli anni quaranta varò i cosiddetti “Decreti Gullo” che mettevano in tutto in crisi in tutto il sud il sistema del latifondo e della colonia aprendo la strada all’appropriazione delle terre da parte dei contadini. A questo passato, fatto di conquiste Coclite contrappone i simboli della recente trasformazione del paesaggio agricolo salentino con i segni astratti a spray rosso, linee e croci che vengono apposte sui tronchi malati prima di essere tagliati. Il terzo orcio è segnato da una linea orizzontale rosso che percorre l’intero diametro del vaso e ha come coperchio una serie di manici, quasi figure antropomorfe o animali che terminano con le foglie del tanto “celebrato” pumo, apposto sui balconi o nelle case come simbolo di buon auspicio e prosperità. Contrapponendo la morte per xylella alla prosperità del “feticcio-souvenir” pumo, Coclite interrompe qualsiasi narrazione lineare del presente del territorio salentino ma pone di fronte alla necessità e al tentativo di una costruzione di significati altri impossibili da decifrare se non partendo dall’esistente e da quel passato glorioso.

Coclite, infine, interrompe la tradizione presentando una serie di manici, quelli tipici dei grandi vasi, che se distaccati dalla loro usuale rappresentazione diventano simboli della fora lavoro, braccia contadine che si nascondono dietro i manufatti in ceramica ormai divenuti oggetti di contemplazione estetica. 

Vito De Donatis nasce a Cutrofiano il 7 ottobre del 1923 da un’antica famiglia di cotimari, la cui attività nel paese di Cutrofiano, come per altre famiglie, è documentata nel catasto onciario già dalla metà del Seicento.

Cutrofiano è un paese dal nome parlante, “Xutra” in greco antico è la pentola di terracotta, mentre il verbo “phuo” vuol dire generare, produrre; l’artifex invece è il ficulo dal latino “fingere” colui che modella, plasma, accarezza e immagina. A Cutrofiano la tradizione figula fu tramandata all’artista De Donatis dal padre Salvatore, esperienza fondamentale che gli diede dedizione e passione verso la nobile arte della creta che ha pratico con instancabile dedizione per tutta la sua vita.

Il suo estro deriva quindi da lunghi anni di lavoro in bottega dove egli applica e sperimenta in tutte le attività pratiche e nei diversi rami della produzione come il cotimaro, pignataro, piattaro e puparo.

Mesciu Vitu era considerato la figura più emblematica nel panorama dell’arte figulina di Cutrofiano, uno degli ultimi artigiani della vecchia generazione, conosciuto ed apprezzato nella sua tarda età come modellatore di piccole sculture in terracotta, figure singole, gruppi o familiari o più ampi, complesse tavole scenografiche in altorilievo, maschere caratteriali, vasi dalle originali forme velatamente antropomorfe e i famosi fischietti. Questa produzione artistica dal sapore “naif” insiste quindi su soggetti come piccoli contadini intenti in gesti quotidiani e figure maschili basse e tozze, abbracci di coppie innamorate circondate da uccellini, teneri quadretti familiari con animali domestici, vortici di personaggi in una piramide incalzante e longilinee di figure tese a sfidare le leggi fisiche dell’attrazione gravitazionale.

De Donatis, restando fedele alle forme ed alle tipologie antiche e ai modi della modellazione tradizionale della creta, ha ricercato, sulla scorta della sua esperienza e sensibilità, nuovi modelli formali ed estetici grazie anche alla sua maestria nella decorazione, nella mescola dei colori e degli smalti, spesso creati con particolari tecniche.

Nelle sue opere traspare quell’innata spinta dettata dalla tradizione artigiana di famiglia, perpetuata per secoli e la volontà quindi di dare un senso artistico ai suoi manufatti, grazie a quell’istinto di innata solidarietà, rispetto e amore fra gli uomini.

Da uomo saggio, misurato, riservato ma a anche ironico e spiritoso ha voluto imprimere nelle sue creazioni che egli considerava “passatempi”, quella semplicità, spontaneità, decoro e dignità popolare di cui ancora è intrisa ancora oggi la gente locale. Un senso umile di amore verso la terra, la famiglia e la comunità, la sua comunità del rione “li chiani” di Cutrofiano.

I personaggi di De Donatis si stringono uno all’altro, spesso in viluppi di braccia molto allungate al fine di dare una totale e salda unione d’insieme, riuscendo a mantenere una coerenza estetica a volte a scapito di quella anatomica. Egli nel plasmare la materia, quasi primordiale, attraverso una libertà di movimenti e torsioni che deformano le proporzioni, è riuscito a dare un’armonia compositiva e una potente espressione dei sentimenti.

La prorompente e continua esigenza di esternare emozioni, stati d’animo, speranze e sogni, emerge nell’espressività dei volti e negli atteggiamenti dei personaggi, sia nei gruppi esplicitamente familiari di sola coppia o con bambino, sia nei gruppi più numerosi dove busti e teste in stretto fascio si allungano, quasi in uno sforzo creativo del gruppo in un equilibrio di forze sempre in bilico.

Questo bisogno incalzante del senso di “unione” che caratterizza la maggior parte delle opere di De Donatis fa si che si allarghi agli animali domestici come i cani e le calandre, passeriformi tipicamente mediterranei dal melodico canto che si integrano in maniera naturale con tutte le figure.

Esempi significativi che traducono queste istanze interpretative sono alcune piccole figure stilizzate e allungate di coppie con intreccio di arti, smaltate di bianco; coppie sedute di innamorati con uccelli e cani e figure filiformi con bambini smaltati multicolore e bianchi; coppie di innamorati di argilla grezza; figure singole con uccelli e figura di matrona con bambini smaltate di bianco; coppie multicolore su struttura architettonica; figura singola allungata con bambini e uccelli, smaltata di bianco; fischietti antropomorfi multicolore e figure allungate di anziani bronzate monocromatiche. 

La fantasiosa produzione delle opere di Vito De Donatis in ultima analisi “comunica una particolare suggestione di deciso equilibrio plastico e coloristico, dove l’armonia delle deformate proporzioni diviene vigorosa creatività; egli intendeva l’arte come nascosta attività dell’immaginazione: un’arte dell’assoluto presente, quindi altamente morale” (Nello Sisinni, 2011). 

I lavori di Giuseppe De Mattia ruotano intorno al concetto di acqua da una parte come elemento che unifica gli oggetti esposti in mostra e dall’altro come elemento naturale. Due catini: Catino, cisterna non eterna e Catino, piscina a pelo d’acqua (2023); una caraffa: Esercito degli speranzosi (2023) e delle piastrelle: Stornello del bar (2023) sono dei lavabi, un contenitore per versare l’acqua e sistemi di impermeabilizzazione per le pareti. Attraverso una narrazione semplificata De Mattia usa questi oggetti di uso quotidiano, riconoscibili ai più, per parlare di una crisi idrogeologica attuale che trova la sua esplicitazione finale nell’opera, Stornello del bar, una serie di piastrelle unite a formare un tableaux con la scritta “Il livello della falda si è abbassato” un’orazione che lo stesso artista ammette di aver ascoltato in un bar fra i contadini delle campagne salentine. L’opera seguendo le tracce della serie Pettegolezzi nei quali l’artista calandosi come uditore nella comunità in cui è invitato ad operare riporta ciò che ha ascoltato con un generico “si dice che…”, diviene la sintesi finale di un lavoro fatto con e per il territorio all’interno delle botteghe artigiane ma anche dei bar, luoghi di relazioni sociali in alcuni dei quali, soprattutto nelle piccole comunità salentine si continua ad avere il tempo per discutere, dibattere, riflettere e stare insieme. Una caraffa capovolta, tipico gesto ordinario per farla asciugare una volta svuotata, diviene elemento estetico per elaborare una figura umana. Dipingendo nelle curvature del suo beccuccio due occhi stilizzati e sulla sua pancia i tipici “dripping” della ceramica tradizionale De Mattia compie un gesto di recupero dei significati esistenti della tradizione, semplificandoli e ricomponendoli, in modo che possano esistere nell’oggi come sistemi di senso. La crisi idrogeologica, dovuta al consumo eccessivo d’acqua come il riempimento delle piscine e dei pozzi, viene rappresentata dalle gocce, quelle della pioggia, e da due occhi, quelli di una figura umana o meglio di una figura come l’acqua che diventa umana. Simboli di gocce e occhi, oggetti come catini una volta lavabi, dicerie di paese sono parte della tradizione ma se ri-articolati, anche in chiave estetica, possono fornirci nuovi sistemi di senso per riflettere, pensare, discutere sulla crisi idrogeologica attuale, oltre alla consueta narrazione meramente scientifica e oggettiva.

Stefano Boccalini (Milano, 1963)Nel 1987 si diploma in scultura alla NABA (Nuova Accademia di Balle Arti) di Milano, dove nello stesso anno inizia ad insegnare come assistente di Gianni Colombo. Dopo la sua morte, nel 1993, eredita il suo corso di Strutturazione dello spazio, e negli anni lo trasforma in un corso di Arte Pubblica, materia che insegna tutt’ora.

È direttore artistico di Ca’Mon (Centro di Comunità per l’Arte e l’Artigianato della montagna) di Monno in Valle Camonica e consulente scientifico dell’Archivio Gianni Colombo.

È stato tra i fondatori di Isola Art Center a Milano, vicepresidente di Art For The World Europa tra il 2014 e il 2019, e ha fatto parte del board di Careof. Nel 2020, con il progetto “La ragione nelle mani” è stato tra i vincitori dell’ottava edizione dell’Italian Council, bando promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.

È stato membro del Comitato Scientifico del progetto Arte e Spazio Pubblico (2021-22), promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura e dalla Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali. Lo Studio Dabbeni di Lugano è la Galleria di riferimento dell’artista.

Sue opere sono state esposte in vari musei tra cui: Mamco, Genève (CH); Museo Pecci, Prato (IT); Museo Marino Marini, Firenze (IT); Palazzo delle Esposizioni, Roma (IT); Sesc Paulista, Sao Paulo (BR); Galerie im Kunsthaus Essen (DE); Museo di Villa Croce, Genova (IT); Museo Cantonale d’Arte, Lugano (CH); Palazzo Strozzi, Firenze (IT); Maison Tavel/Musée d’Art et d’Histoire, Genève (CH); India Habitat Centre, New Delhi (IN); Museo de Arte Moderno de Buenos Aires (AR); Museo MuCEM Marsiglia (FR); HangarBicocca, Milano (IT), GAMeC Bergamo (IT).

Sue opere fanno parte della collezione del museo MuCEM di Marsiglia (FR), del Museo del Novecento di Milano (IT), della GAMeC (Galleria D’Arte Moderna e Contemporanea) di Bergamo (IT) e del PAV (Parco Arte Vivente, centro sperimentale d’arte contemporanea) di Torino (IT).

Luca Coclite (Gagliano del Capo, Lecce, 1981). La ricerca artistica di Luca Coclite si focalizza sull’analisi che mette al centro l’architettura, il concetto di abitare e le interferenze tra paesaggio naturale e artificiale con una specifica attenzione ai luoghi in trasformazione, dove la crisi della specificità e il conflitto tra virtualità ed esperienza reale si fa sempre più ampio.  Da diversi anni osserva aspetti culturali e sociali del territorio che lo circonda evidenziandone le contraddizioni.

Negli anni ha preso parte a diversi programmi di residenza nazionali e internazionali; nel 2017 vince la borsa di studio NCTM e l’arte che gli permette di sviluppare un progetto di ricerca presso l’Experimental Intermedia di New York.

Il suo lavoro è stato esposto in diverse fondazioni e musei come la Galleria Nazionale di Roma e la Fondazione del Monte a Bologna. Negli ultimi anni ha collaborato e co-fondato diversi progetti artistici e curatoriali, tra i quali Random e Casa a Mare, che gli hanno permesso di approfondire lo studio sui luoghi in relazione con le pratiche artistiche. Nel 2018 co-fonda, insieme a Laura Perrone, studioconcreto.

Vito De Donatis (Cutrofiano, Lecce, 1923) terzo degli otto figli di Salvatore. Inizia a lavorare nella bottega figulina del padre fin da bambino, frequentando nella scuola pubblica solo la prima elementare non solo per le scarse possibilità economiche della famiglia, ma soprattutto perché discendente da famiglie di “pignatari” come risulta nel Catasto Onciario già dalla seconda metà del 1600.

Mesciu Vitucciu Riti, così era conosciuto nel suo paese natale, dedicò la sua intera vita alla lavorazione della terracotta nella sua bottega di via Pisacane, svolgendo le diverse attività come quelle del cotimaro, pignataro, piattaro e puparo.

Alla fine degli anni ‘50, con l’arrivo della plastica, una grave crisi colpisce il settore della terracotta costringendolo a emigrare in Svizzera per alcuni anni ma l’amore viscerale verso la sua terra e il suo lavoro lo riporta a Cutrofiano nel suo rione Piani. Qui De Donatis decide di mettere da parte la produzione di oggetti legati all’uso quotidiano e rispolverare quelli che una volta erano i giocattoli per bambini: i fischietti e le miniature come campanelle, lucerne, anfore, calandrelle e fiori.

Era un maestro riconosciuto nella decorazione, nella mescola e nell’abbinamento degli smalti, molte volte creati da lui stesso con tecniche particolari.

Uomo misurato, riservato, ironico e spiritoso, fu costretto per una malattia che iniziava a minare il suo corpo, ad abbandonare il laboratorio e il tornio, dedicandosi completamente alla lavorazione dell’argilla nella sua cucina di casa, modellando a mano piccole sculture, corpi lunghi e avvinghiati in un abbraccio caratterizzati dalle presenze di innumerevoli uccelli insieme a figure basse e tozze di contadini intenti nei gesti quotidiani. Opere dal sapore naif che rivelano delicati sentimenti e forti emozioni e che traggono ispirazione dal forte legame dell’artista per la sua terra, il suo lavoro e la sua famiglia.

Vito De Donatis muore il 13 Agosto 1999 a Cutrofiano, lasciando la sua eredità di figulo artista.

Giuseppe De Mattia (Bari, 1980) è un artista che utilizza diversi strumenti per indagare sul rapporto tra memoria, archivio e contemporaneità. Comincia con la fotografia per poi spostarsi al video e all’audio fino ad arrivare al disegno nelle ultime opere. Per i suoi lavori, che prendono sempre forme diverse, utilizza supporti e strumenti (spesso auto-costruiti) che possano compiere narrazioni.

Da attento osservatore del panorama artistico contemporaneo, il lavoro di De Mattia tocca spesso temi strutturali legati all’economia di beni di consumo di base e arte contemporanea e più̀ in generale alla relazione con il mestiere dell’artista, articolati attraverso un dialogo tra ironia, satira e struggente critica.

Lavora da solo o in collettivi come Coclite/De Mattia e Casa a Mare (con Luca Coclite e Claudio Musso). Collabora con Home Movies – Archivio Nazionale del film di Famiglia e ha collaborato con la Cineteca di Bologna.

È rappresentato dalla galleria Matèria di Roma e OPR Gallery di Milano. Pubblica con Corraini Edizioni, Danilo Montanari Editore e Skinnerboox. Dal 2015 ha avviato un progetto editoriale di auto-pubblicazione con il nome di L.T – Libri Tasso e nel 2020 ha fondato Marktstudio, un contenitore di progetti artistici all’interno di una bottega di cornici a Bologna.

Giuseppe De Mattia attualmente vive e lavora tra Bologna e Noha (Le).

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