Il costo del mais in tre giorni è passato da 35 a 60 euro, per i mangimi rialzi fino al 100%. Angelo Miano, allevatore CIA: “Saremo costretti a chiudere e a portare gli animali al macello”. Farinaccio da 12 a 30 euro. Aumenti delle materie prime fino al 100% e oltre. Intanto scoppia il caso grano: prezzo del duro insufficiente per costi di produzione e investimenti.
“I costi sono diventati una follia, è in atto una speculazione feroce, in tre giorni il prezzo del mais che occorre agli allevamenti per nutrire il bestiame è passato da 35 a 60 euro, l’ultimo prezzo rilevato stamattina 10 marzo. A queste condizioni, le stalle dovranno chiudere e il bestiame portato al macello prima che deperisca per mancanza di nutrimento”.
E’ Angelo Miano, allevatore di Lucera (Fg) e associato CIA Agricoltori della Puglia, a esporre un caso esemplare e drammatico di ciò che sta accadendo in tutta la regione. Prima che scoppiasse la guerra, la situazione era già difficilissima, adesso sta raggiungendo un punto di non ritorno.
Gli allevatori di Bari, Taranto, Lecce, Brindisi, Foggia, come quelli della BAT, si trovano in una condizione di drammatica difficoltà, posti di fronte al dilemma se chiudere o indebitarsi fino al collo per sostenere gli allevamenti. I danni sarebbero incalcolabili, con effetti irreversibili nella maggior parte dei casi.
Il farinaccio, altro prodotto utilizzato dagli allevatori, è salito da 12 a 30 euro in pochi giorni. Stessa cosa per i mix di mangimi all’interno dei quali sono utilizzati, ad esempio, il favino e il pisello proteico. L’aumento dei costi per questi prodotti, così come quello degli integratori alimentari per il bestiame, sta registrando incrementi che arrivano anche al 100%.
A rischio collasso c’è l’intero comparto lattiero-caseario pugliese che conta oltre 2mila aziende con vacche e bufale, circa 3mila imprese con ovini e caprini da latte. In questo particolare settore, la maggioranza delle imprese si concentra nelle province di Bari e Taranto. Nel Foggiano e nel Barese si concentra la maggiore presenza di allevamenti ovicaprini. Il numero di capi allevati si attesta attorno ai 70mila bovini e bufalini, mentre registra oltre 300mila ovicaprini. Complessivamente, dunque, il rischio di non avere più le risorse necessarie a sfamare gli animali riguarda circa 370mila capi, considerando soltanto bovini, bufalini e ovicaprini.
In poche settimane, gli effetti devastanti della crisi che colpisce gli allevatori si riverseranno anche sulle circa 200 unità di trasformazione e raccolta del latte in tutta la Puglia. Il latte raccolto a livello regionale è stato destinato alla trasformazione industriale di prodotti lattiero-caseari e recentemente ha portato all’ottenimento di oltre 108.000 tonnellate di latte alimentare (pari al 4% del totale nazionale), a poco più di 1.000 tonnellate di burro e a quasi 40.000 tonnellate di formaggi, per la gran parte attinenti la categoria “freschi”. Il settore zootecnico regionale, considerato nel suo complesso, si compone di poco più di 9.000 allevamenti.
SCONTRO SUL GRANO. A peggiorare il quadro, a Foggia, c’è anche quella che alcuni definiscono come “la guerra del grano”. Ieri, mercoledì 9 marzo, alla Borsa Merci della Camera di Commercio di Foggia i produttori hanno avuto la peggio. Avevano chiesto un aumento del prezzo del grano duro di 15 euro a tonnellata, per poter rientrare almeno in parte dal vertiginoso aumento dei concimi (il costo dell’urea è arrivato a oltre 150 euro al quintale). In commissione, una volta arrivati a votare, le due proposte di prezzo – l’una della parte industriale, l’altra dei produttori – hanno ottenuto lo stesso numero di voti.
A quel punto, però, invece di cercare una mediazione, il presidente (e industriale) Umberto Sacco ha fatto valere la regola secondo cui il suo voto vale doppio. In questo modo, l’aumento concordato è stato di soli 5 euro alla tonnellata, con una distanza marcata dai 15 euro richiesti dai produttori.
“In questo modo”, ha dichiarato Silvana Roberto, vicepresidente CIA Capitanata e membro della Commissione Unica Nazionale sul grano, “gli investimenti resteranno bloccati e i produttori di grano non riusciranno a rientrare almeno in parte dall’aumento folle di tutti i costi di produzione”.